mercoledì 3 giugno 2015

meditando su "Youth", di Paolo Sorrentino

Se si riflette sul tempo che passa, sulla nostra giovinezza passata, sui ricordi e sulla nostra vita, non si può non andare a vedere "Youth", di  Paolo Sorrentino.

"Lo devi vedere, è un film bellissimo."
Va bene, lo vado a vedere.

Un grande Michael Caine interpreta Fred, un compositore e direttore d'orchestra ottantenne che si ritrova, con la figlia e l'amico regista Mick, interpretato da Harvey Keitel, in un lussuoso hotel termale sulle Alpi svizzere.












I due amici si scambiano ricordi, confidenze, "ma solo sulle cose belle"- è così la loro amicizia-, riflessioni sulla vita e ciò che vale la pena di vivere.
Per Mick, che sta cercando il finale del suo ultimo film, che dovrà essere una sorta di testamento artistico e spirituale, il bello della vita sono le emozioni.
La filosofia di Fred è più cinica e disincantata.
Quasi anaffettivo, sano come un pesce ma quasi morto dentro, "apatico", come tutti dicono di lui, ha uno sguardo totalmente razionale sulla realtà che lo circonda.

"Tu non me la fai" sussurra al monaco habitué dell'hotel che fa i suoi rituali esercizi di levitazione sul prato verde del parco. Non tornerà a dirigere, nemmeno per la regina Elisabetta, quelle "canzoni semplici" che ha scritto per la moglie che ormai non canta più, persa in un delirio demenziale.

Immagini di anziani a bagno e in sauna come ombre in gironi danteschi, anziani che si scontrano in carrozzina nei corridoi dell'hotel, la caricatura di un Diego Maradona obeso e tatuato, con bombole d'ossigeno al seguito, che palleggia con la pallina da tennis e ricorda gli schieramenti in campo.
Il film è ricchissimo di splendide immagini, quasi visionarie, come un sogno barocco.






















Piazza San Marco in una luce notturna, sommersa dall'acqua alta.

Miss Universo che si immerge totalmente nuda nelle acque termale, sotto gli occhi estatici di Fred e Nick: l'immagine della gioventù, della bellezza, senza implicazioni erotiche.
Come il velo di Angelica, come la Claudia di Fellini 8 e1/2.
























Il concerto  che Fred dirigerà, dopo il suicidio dell'amico: un'epifania di musica e colori, con la fiammata dell'abito della cantante a illuminare tutto il palco.

E ultima, emblematica, onirica, l'immagine finale del monaco che levita nelle sue vesti rosse contro il paesaggio montano, su, su, sempre più su, tra la musica dei titoli di coda.

Sono uscita perplessa, senza sapere che cosa dire.
"Ambizioso, felliniano, costruito, un'operazione intellettuale", mi sono detta.

Ma poi ci ho ripensato tanto, perché è un film che ti fa pensare e ripensare.
E ora lo trovo bellissimo.  



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