Riflessioni personali sul tempo che passa.
Compito quotidiano: almeno un sorriso.
Una piccola storia al giorno in compagnia di Enrichetta, gallina peppola dall'anima sensibile. Appunti di viaggio. Famiglia e società.
Cucina e musica.
Chissà come mai, tra i quattro e i cinque anni, bimbi che sono l'immagine del candore, scoprendo il proprio corpo e le sue funzioni, vanno matti per parole come cacca puzzetta ruttino. E ridono come dei pazzi, con la splendida innocenza della loro età. Cosa si inventerebbe al riguardo il buon vecchio Freud! Il mio bimbo spagnolo, cinque teneri anni, se dotato di macchina fotografica, diventa un particolare fotoreporter di "culitos ", che paiono ai suoi occhi i paesaggi più affascinanti del mondo. E la mia bimba raffinata, quattro anni, principessa per vocazione, compone piccoli capolavori come questo:
In cui potete ammirare un mulino, un maialino e la sua esplosiva puzzetta.
A me sembra un quadro bellissimo: una sintesi di fantasia e concretezza.
Los pueblos della zona intorno a Valencia si assomigliano un po' tutti.
Hanno casette basse colorate: verdine gialle rosa azzurre violette. Case come cubi, o parallelepipedi, perché invece del tetto hanno una grande terrazza, che spesso è come un giardino pensile, e verdeggia di palme nane e gelsomini ricadenti, o ondeggia al sole dei panni bianchi stesi ad asciugare.
C'è la Chiesa con una piccola piazza. E il Municipio, che spesso ha una struttura più ricercata delle altre case, e modanature bianche che risaltano sul colore dei muri.
Vi sono strade e stradine, e piccole piazze in cui i platani creano ombre gentili. Panchine e fontane e giochi di bimbi.
E poi ci sono gli uccelli. Centinaia. Che cantano in un cicaleccio festoso. Ci sono stormi di rondini -ancora- che danzano nel cielo di smalto.
Mio figlio mostra al bimbo i nidi delle rondini sotto un balcone. Sono tre, perfetti, e si vedono testine nere far capolino dai bordi.
Tra i muri i fili della luce sono carichi di piccole rondini.
Sembrano decorazioni di Natale.
Pare che l'odorato sia uno dei sensi che più ci evocano i ricordi. Per me l'odore pungente della resina, che sa di medicinale e disinfettante, è legato all'immagine di una bambola malata. Avevo questo bambolotto, non so chi me l'avesse regalato, di biscuit rosa, con gli occhi di vetro azzurro e la testa liscia come una biglia. Il biscuit è una specie di porcellana, che oggi non si usa più. Oggi si usa una plastica che non si rompe, morbida al tatto come la pelle vera.
Non ricordo la dinamica dell'incidente, ma so che il bambolotto cadde, proprio di testa, che si ruppe come una noce di cocco.
La faccina era intatta, ma la testa era un buco vuoto.
Ero disperata.
Ricordo lo studio del papà, che aveva trovato il modo di salvare la mia bambola malata.
Papà era dentista. Mi sorridevano impronte di gesso e modellini di resina rosa e denti scintillanti.
La mia bambola riebbe una testa nuova e lucente, tutta di resina rosa.
Odorava di medicinale e disinfettante, e pesava come una pietra, ma era di nuovo intatta tra le mie braccia amorevoli.
Non sono mai stata alle Terme di Caracalla per uno spettacolo.
Stasera vi andrò per la prima volta, a vedere un balletto del 1973 di Roland Petit, messo in scena dal Corpo di Ballo del Teatro dell'Opera di Roma.
Sono curiosa. Mi piacciono i Pink Floyd. Mi piace Roland Petit. Mi piace la danza moderna più dei balletti classici sulle punte.
Il cielo di Roma purtroppo è pieno di nubi grigiastre che promettono pioggia. Speriamo bene.
Pantaloni e casacca e scarpe comode. Golfino ed ombrello. Sono vestita come un'escursionista più che per una prima.
Il posto è assolutamente incredibile.
La luce calda del tramonto su queste mura antiche. I pini ad ombrello come nuvole
contro il cielo.
Visto che ci vediamo poco, mio marito ha fatto le cose in grande. Posti in seconda fila. Solo i giapponesi ,che sono dappertutto come al solito,
sono messi meglio. Cinguettano davanti a noi come piccoli fringuelli gioiosi.
Lo spettacolo inizia con un passo a due, "La Rose Malade", sempre di Roland Petit, sull'aria dell' Adagietto della Quinta di Mahler.
La musica, dolce, accompagna i movimenti fluidi e flessuosi dei ballerini. Lei ha un abitino morbido rosa antico di Yves Saint Laurent. Tutti i passi sono morbidissimi. Le braccia sembrano colli di cigni. Si cercano, si intrecciano. Le schiene si inarcano, ma senza spigoli. Lei volteggia sempre più piano tra le braccia di lui, fino a spegnersi, come in un sospiro.
Molto bello, quasi immateriale. Un momento di poesia .
Anche i giapponesi se ne stanno in silenzio, un po' sopraffatti.
Comincia il balletto sulle musiche dei Pink Floyd.
La musica è a volume altissimo. Più ritmi che cantato. Le onde sonore ti percuotono come frustate.
I ballerini sono una trentina, vestiti di tute bianche essenziali, che si accendono delle luci di scena.
Fasci di raggi blu rosa violetti. Raggere taglienti o spirali ondulate. La luce, con la musica e i corpi che danzano, è protagonista. Come è giusto che sia.
Novanta minuti di energia pura. Gli aggettivi consueti ,"ipnotico, psichedelico " non sono adeguati.
Siamo tutti coinvolti. Si applaude e non basta, si battono furiosamente i piedi sull'impiantito per fare più rumore.
Per essere anche noi suono movimento, energia.
La luna, non quella dei Pink Floyd, ma quella vera, è una falce d'argento nel cielo di Roma.
Hola a todos! He llegado a Espana ahora mismo. ..
Il volo Ryanair in perfetto orario con tanto di trombetta ed applausi. Ora aspetto mio figlio in aeroporto e approfitto del wifi per postare due righe.
Ho mangiato un boccadillo con jamon serrano rinunciando temporaneamente al veganismo. Carissimo!
Il Kindle mi fa compagnia con il libro di Isabel Allende "L'amante giapponese".
Per ora non mi esalta. Poi vi dirò .
Intanto sono passata dalla pioggia battente di Fiumicino al cielo azzurro di Valencia. Non male.
Questo sembra essere il post più veloce della storia.
Provo a scrivere un post utilizzando il mio cellulare.
Potrebbe essere una possibilità per non essere completamente scollegata. .. lo schermo è piccolo e non padroneggio molte funzioni ma ci provo.
Sono a Roma da mio marito. Due giorni insieme prima di partire per la Spagna.
Il mare mi attira e vado con un'amica al lido di Ostia. Si prende una linea della metro e si sbarca al capolinea. Ragazzi in short e camiciola , che parlano delle prove dell'esame di maturità, portano grandi asciugamani colorati e sanno di olio abbronzante.
Aria di vacanza. Atmosfera senza fretta. Che bello.
Quattro passi per arrivare ai bagni. Che sono bellissimi. Prati pettinati, yucche in fiore, grandi gazebo di velo bianco. Decine di salotti vagamente etno con cuscinoni in tela bianca e marrone, in strutture di legno scabro che sono barche e piroghe.
L'impiantito è di lunghi travi decapati di bianco. Alberi contorti che sembrano sculture.
Tutto pensato con gusto, un gusto "minimal" che esalta materiali grezzi e colori naturali.
Mi piace. Un posto più suggestivo di tanti che ho visto in Costa Azzurra. Pare che gli altri bagni siano altrettanto belli, magari con la piscina,.
Ostia. Mi ero immaginata un lido popolare, poco curato, pieno di cartacce come il centro di Roma.
Facciamo il bagno in un'acqua che all'inizio sembra gelata. Il mare è verde azzurro, pulito.
Mi rosolo al sole come una lucertola beata.
Con gli occhi chiusi. Gli occhiali neri, 5 euro da un vuccumprà, sono tutti rigati. Hanno finito la loro stagione.
La sera, a casa, scopro di avere le palpebre scottate .
Ho gli occhi a boccia di ET.
Anche il dorso dei piedi è curiosamente vermiglio .
Ma sono soddisfatta.
Sento sulla pelle il gusto del sole.
La parmigiana di melanzane è uno dei piatti che preferisco. Ne ho preparato una variante molto leggera, che mi ha soddisfatto abbastanza. Dosi per due persone: una melanzana grossa, bella soda, da tagliare in sezioni rotonde e sottili. Fate spurgare le fette per un'oretta spolverizzando di sale fino. Asciugate bene e grigliate le melanzane sulla piastra ben calda.
Preparate una passata di pomodoro al rosmarino: in un velo d'olio aggiungete uno spicchio d'aglio, o un trito di cipolla, tre rametti di rosmarino e una manciata di foglie di salvia. Poi due pomodori tondi pelati e tagliati a coltello. Insaporite di sale e pepe. Aggiungete mezzo bicchiere d'acqua con una punta di dado vegetale, e, quando la salsa non sarà più acquosa, due cucchiaini di zucchero.
Accomodate le melanzane in due strati in una teglia da forno, alternandole a cucchiaiate di sugo e ciuffetti di ricotta magra. Ci stanno bene anche delle foglioline di basilico. Spolverizzate di grana padano e infornate a 180 gradi per una ventina di minuti.
Continuo a preferire la versione classica, ma cucinate così le melanzane sono buone, saporite e molto leggere. E buon appetito a tutti!
Insomma, non so se troverò il tempo e il modo per augurarvi la buonanotte le prossime sere.
Parto domani per la Spagna. Vado a trovare i miei bimbi spagnoli, che troverò cresciuti e cambiati.
Rinfrescherò il mio spagnolo. Parlerò con mio figlio e mia nuora. Passeggerò lungo la riva del mare. Mi cuocerò al sole come una lucertola e mi lascerò galleggiare sulle onde come un turacciolo senza pensieri. Preparerò piatti vegani. Costruirò castelli e formine e racconterò favole della buona notte e canterò "Era una notte che pioveva", a cui nessun bambino normale resiste sveglio a lungo. Leggerò col mio fantastico leggerissimo kindle libri rigorosamente spagnoli. E farò colazione prestissimo sul terrazzo di fronte al mare, osservando i raccoglitori di arselle e i pescatori solitari.
Mi mancherà questo colloquio quotidiano con tanti amici senza volto e senza nome.
Dunque per voi, questa sera, la splendida voce del violoncello di YoYo Ma, nel breve Preludio della Suite No 1 per violoncello solo di Bach.
Siete capaci a leggere le didascalie?...
Yo Yo Ma, cinese nato in Francia, cittadino americano, ex bimbo prodigio, è un meraviglioso insuperato interprete del mondo bachiano. Ha inciso tutte le Suite di Bach. Regalatevi la gioia di ascoltarle.
Saper invecchiare con gioia non è poi così facile. L'amicizia aiuta. Ci si ritrova in montagna con gli amici, per condividere momenti belli. Le passeggiate sulla neve, nell'incanto bianco del silenzio.
Siamo tre amiche "storiche". Il nostro momento d'incontro è, quando si può, il fine settimana. Abbiamo scoperto le ciaspole, ed è bello salire insieme, su una neve che porta solo le tracce della natura. Tracce di caprioli. Di uccelli. Di pigne che cadono leggere come piume con un piccolo "toc". Io sono la più pigra. Prima della passeggiata spero sempre che piova o nevichi forte. Poi sono contenta anche della fatica. Si sale insieme. Se il fiato ce lo consente si parla. Ci raccontiamo delle nostre vite che scorrono parallele e fisicamente distanti. Ci aggiorniamo sui piccoli fatti che compongono il tessuto delle giornate.
Piccoli episodi buffi. O tristi. Fragili ansie. Sorrisi e risate. Come è la vita.
Il rito del panino sulla neve. Il cioccolato alle nocciole. Il caffè o il the profumato al mandarino che portano gli amici, -noi siamo sempre le piccole sanguisughe profittatrici del gruppo-; la gioia di tenere tra le mani intirizzite la tazza di plastica con la bevanda bollente. Ci si sente così vicine, in un'intimità che rinasce come un miracolo, tutte le volte. La sera ci rivedremo per cenare insieme, in una casa accogliente, non più noi tre sole. E giocheremo a carte, e litigheremo un po', perché altrimenti non c'è gusto. E ci guarderemo con gli occhi brillanti, tra una risata e un rabbuffo, con la gioia segreta di sentirci amiche.
Perché si scrive sui muri? Penso che, più che vandalismo, sia una delle tante forme dell'affermazione di sé. Come un selfi, per dire agli altri che ci sei, farti vedere, condividere. Come un post sul blog, che ha un pubblico che non conosci, con il quale le parole creano legami. Le scritte sui muri sono semplici sigle, o parole significative, o firme stilizzate.
C'è molta cura nella grafia, che si veste di colori diversi. Sono stampatelli grandi, personali, a volte tridimensionali. Quando un writer si affeziona a un muro, non c'è verso. Diventa la sua pagina di diario, il suo bloc-notes, e lì ritorna, inesorabile, affettivo, nonostante le periodiche ritinteggiature degli stabili. Nel mio quartiere c'è un "diablo" che imperversa. Chissà che faccia ha. Lo cancelli e lo rivedi a un'isolato più in là. Quando poi c'è un edificio abbandonato, per il quale pochi si curano del decoro delle sue pareti, i suoi muri diventano la lavagna di messaggi politici, insulti di ultras, messaggi d'amore. Hanno dismesso da tempo, a pochi passi da me, la sede di Economia e Commercio. Finestre come occhiaie vuote, vetri rotti, cartacce per terra; il tarassaco e la lobelia che crescono tra marciapiede e pareti, a fiorire le crepe. E c'è qualcuno che su quei muri, ostinato, tenace, scrive il suo amore per la sua ragazza.
VORREI DONARE IL TUO SORRISO ALLA LUNA,
PERCHÉ DI NOTTE CHI LA VEDA SAPPIA IL MIO AMORE PER TE.
Quasi una poesia. Un sms che vuole farsi eterno, dipinto sulla pietra. Ma non proprio.
Periodicamente il romantico writer passa una mano di bianco su quella riga di quaderno che gli appartiene e aggiorna il messaggio.
Come in un'installazione dinamica.
Per Vittorio Sgarbi, malinteso paladino dei writers, ("Li detesto, anzi no"), la loro è una forma d'arte.
Non ha senso andare a visitare le tante mostre organizzate dai Comuni, in un tentativo vano di ottenere muri puliti in cambio. Svincolate dal loro contesto, dal muro e dalla città, le scritte perdono vigore, arroganza, personalità. Diventano, il più delle volte, scarabocchi un po' tristi.
Torino ha il fascino tranquillo e riservato di una signora un poco agé. A me sembra una piccola Parigi. Con una cornice più bella, però, perché intorno ha monti e colline. Ha angoli nascosti da scoprire con meraviglia, cortili, androni, piazzette segrete, segni magici. E fontane. E fontanelle. Quelle che ci servono per un sorso nel caldo dell'estate. O per lavare le mani impiastricciate di gelato dei nostri bimbi, o per dare sollievo al nostro cane che ha corso come un matto. Ci sono le fontanelle a due braccia, smaltate di verde, e le troviamo in tante città. E poi ci sono i toret, piccole fontane con una testa di torello, il simbolo, serio e tenace, della nostra Torino. Sono smaltate di verde, graffiate, scrostate, coperte di scritte. Ma danno acqua buona, e segnano angoli noti della nostra città e della nostra storia.
I toret si possono adottare, grazie ad un gruppo di persone che amano Torino e la sua bellezza segreta. Io ne ho appena adottato uno, che sta in un bel viale vicino a casa mia. Una volta raccoglievo sassi, e li chiamavo per nome. Ora adotto toret. http://www.ilovetoret.it
Proprio di Albinoni? Lo dice il musicologo Remo Giazotto, che nel 1958 assemblò e pubblicò una serie di pagine autografe di Tomaso Albinoni, da lui ritrovate tra le macerie della Biblioteca di Stato di Dresda. Così nasce il famosissimo "Adagio" in Sol Minore di Albinoni, in una stesura per organo e archi. Seguiamolo nell'interpretazione dell'Orchestra da Concerto di Vienna &Kurt Steiner.
Le foto fanno parte dei nostri ricordi. Anche la natura è musica. E buonanotte a tutti.
Senza troppa convinzione, -io volevo vedere un altro film-, siamo andati a vedere "Forza maggiore", un film del 2014 del regista svedese Ruben Östlund, che ha vinto il Premio della Giuria, al Festival di Cannes, per la sezione "Un certain regard". La trama è molto semplice. Una famiglia "tipo", papà, -Tomas-, mamma, -Ebba-, con i loro due bambini hanno deciso di concedersi una bella vacanza di sci e relax sulle Alpi francesi, finalmente insieme, lontani dalla routine del lavoro. L'albergo è confortevole per non dire lussuoso, il panorama è incredibile. Un villaggetto arrampicato su un costone nevoso in mezzo all'epifania delle montagne: la sera brilla di piccole luci in un mare di bianco e pare un presepe. Tutto bene: Tomas riprende a poco a poco il contatto con i bimbi. Si scia a lungo. Ci si riposa sul lettone. Si condividono i momenti di intimità, a partire dal rito meticoloso del lavaggio dei denti. Ma scende una valanga, mentre si ritrovano tutti a far pranzo sulla grande terrazza, e pare dover investire l'albergo. Ebba si stringe ai bimbi, cerca di proteggerli; Tomas, spinto dall'impulso alla sopravvivenza, fugge, quasi senza accorgersene. La valanga ha deviato. Non è stata che una nube bianca passata radente. Ma, negli equilibri della coppia, si è rotto qualcosa di importante. Tomas nega, tende a minimizzare. Ebba parla e riparla dell'accaduto con Tomas, con gli amici occasionali, con gli amici cari. Si riflette su come siamo, su come agiamo in certe circostanze, su come agiremmo.
"In situazioni estreme, chiunque può reagire in maniera del tutto inaspettata ed estremamente egoista. Sembra che non ci siano studi scientifici sull'argomento ma a quanto pare in seguito ad una catastrofe, un dirottamento o un naufragio, molte coppie di sopravvissuti divorziano" Sono le parole dello stesso regista, che ci spiega da quale riflessione sia nato il suo film. Come reagiremmo noi in una circostanza del genere? Riflettono e discutono gli amici nel film, e non mancano i momenti di umorismo estremamente godibile. Riflettiamo anche noi, fuori del film, ci immedesimiamo.
Crisi, discorsi. Il film è quasi un pezzo di "teatro", come certi films francesi, dove capita poco e si parla molto. Le facce degli attori sono bellissime, normali, come devono essere, ma molto espressive. Nonostante la conclusione un po' banale, per cui Tomas in certo senso si riscatta, e si riavvicina a Ebba e ai bimbi, il film non è banale. Riesce a far pensare e a far sorridere. Quando usciamo, lui mi prende la mano, e mi dice: "io non sarei scappato". Io gli rispondo: "Lo so".
Questa canzone è stata scritta per la voce di Dionne Warwick, nel 1967, da Burt Bacharach e Hal David. Io preferisco la versione di Aretha Franklin. Mi piace molto il testo, che ci accompagna nei piccoli gesti quotidiani, che si fanno quando si inizia la giornata. Truccarsi un po', pensare a cosa mettersi, prendere l'autobus. Sempre pensando a lui, dicendo una piccola preghiera per lui, presente in ogni momento. Durante il lavoro, nella pausa-caffè. For ever, for ever. La dedico al compagno caro della mia vita.
The moment I wake up before I put on my makeup I say a little pray for you while combing my hair now and wondering what dress to wear now I say a little prayer for you
Forever and ever, you'll stay in my heart and I will love you Forever and ever, we never will part oh, how I love you together, forever, that's how it must be to live without you would only mean heartbreak for me
I run for the bus, dear while riding I think of us, dear I say a little prayer for you at work I just take time and all through my coffee break time I say a little prayer for you
Forever and ever, you'll stay in my heart and I will love you forever and ever we never will part oh, how I'll love you together, forever, that's how it must be to live without you would only mean heartbreak for me
I say a little prayer for you I say a little prayer for you
my darling, believe me (Believe me) for me there is no one but you please love me too. (Answer his pray) and I'm in love with you (Answer his pray) Answer my prayer now, babe (Answer his pray)
Forever and ever, you'll stay in my heart and I will love you Forever and ever we never will part oh, how I'll love you together, forever, that's how it must be to live without youwould only mean heartbreak for me E buon mattino a tutti.
Un notturno per augurare la buonanotte. Questo è il notturno Op. 81, numero 3, di Jean Sibelius. La purissima voce del violino si deve a Ferenc von Vecsey. Al pianoforte Guido Agosti. L'incisione è su un 45 giri della Cetra. Si sente anche qualche grattatina. Che nostalgia!
Tanti sono i musicisti, i cantanti, in generale gli artisti, morti giovani. Tanti davvero. Molti morti a 27 anni. Qualcuno ha pensato a una sorta di maledizione,di oscuro legame: un macabro club, quello dei "27". Mi colpisce sempre il viso di Janis Joplin,artista texana, morta, anche lei, alla fatidica età dei 27 anni.
Una giovane cantante rock dall'anima jazz, dal viso pulito e solare.
Perfezionista nella musica, adolescente ribelle, brava ma incostante negli studi, hippy a Woodstock, voce soul-blues, impegnata nella lotta per l'uguaglianza tra bianchi e neri, muore a Los Angeles il 4 ottobre 1970, probabilmente per overdose di eroina. Ascoltiamola nella sua cover di "Summertime". Se vuoi approfondire l'argomento "musicisti morti prima del tempo, va a Freddy Mercury
Non vado ancora a scuola. Trascorriamo le vacanze "in campagna", o meglio in mezza montagna, dove papà e mamma hanno affittato un alloggio. Una località vicina a Torino. Papà lavora. Ci raggiunge il fine settimana. Io godo di una libertà insolita per una bimba della mia età. Vado in giro per la campagna, in brevi vagabondaggi avventurosi, da sola. Ho anche conosciuto Anita, una ragazzina del posto, più grande di me. Mi piace, Anita; è esile e alta, ed ha un bel taglio di capelli, appena sotto l'orecchio, che le invidio molto. La mamma mi pettina con le trecce, e le infiocchetta con cura. A volte pinza quella a destra a sinistra e quella a sinistra a destra, e così sembro un cestino. Anita mi chiede di andare con lei, questa sera. Ci saranno dei suoi amici e faremo un bel gioco. Mi ricordo il posto. Sotto gli alberi, su di una collinetta sabbiosa. Ci sono tre mucchietti di sabbia, tre coni che sembrano castelli venuti male. "In uno di questi mucchietti è nascosto un tesoro. Scegline uno e scava", mi dice Anita". "Con cosa?" "Con le mani." Sono piccola, ingenua e avventurosa. Mi scelgo un mucchietto e scavo veloce, come una piccola talpa.
L'odore, le risate, la consistenza, mi fanno capire qual è il tesoro sepolto. Corro corro corro veloce, via da quello scherno, con tutte le mani sporche di cacca. Non piango. Non dico niente a nessuno. Mi vergogno troppo. Mi lavo a lungo le mani: una, tre, dieci volte. "Non esci più con Anita?"Mi chiede la mamma. Faccio di no con la testa. "Perché? Sembra così carina." "Non mi va."
Io adoro le melanzane. Questa è una ricetta "leggera", e, volendo, anche vegana. Dosi per uno, ma sono dosi abbondanti. Tagliate una bella melanzana soda per il lungo.
Conditela con un filino d'olio, un po' di sale e di timo, e incidete la polpa con tagli a croce.
Ponetela in forno appoggiandola sulla parte piatta, a 180 gradi per una mezz'ora.
Mentre la melanzana cuoce preparate la salsa aromatica. In un filo d'olio ponete uno spicchio d'aglio, o una cucchiaiata di cipolla tritata, -se, come un mio caro amico, siete allergici all'aglio-, rosmarino fresco e abbondante, e alcune foglie di salvia. Aggiungete tre pomodori medi, pelati e tagliati a coltello. In alternativa, usate un bicchiere di passata rustica. Salate, pepate, aggiungete mezzo bicchiere d'acqua con una punta di dado vegetale, e fate addensare. Il segreto finale: due cucchiaini di zucchero, che attenua l'acidità.
La melanzana dovrebbe ora essere cotta. Se è bella morbida, -provate con una forchetta- scavate la polpa con un cucchiaio. Si staccherà molto facilmente dalla buccia. Schiacciate con una forchetta, o date una veloce tritata a coltello.
Mettete la polpa in una ciotola, e aggiungete sale, pepe, basilico tritato, la mollica di un panino tritata o un cucchiaio di pane grattugiato, come ho fatto io, un po' di grana padano se vi piace un sapore più intenso e non siete vegani.
L'impasto è morbido e profumato. Su un tagliere infarinato ponetene dei mucchietti, infarinateli e rotolateli un po', formando delle frittelle un po' schiacciate (gallette).
Le gallette non hanno uova. Ma se le friggete in olio caldo e abbondante, -io ho usato il mio fantastico wok- non si disferanno, e in pochi minuti saranno croccanti fuori e morbide dentro.
Asciugatele bene su carta da cucina.
Servitele con la salsa di pomodoro aromatica che avete preparato in precedenza.